30.4.10

Ma ce l'ha solo lui?




Si sa che la danza non è l’arte più conosciuta e apprezzata dal grande pubblico. Figuriamoci la classica o la contemporanea. Difatti, succede più o meno ininterrottamente dal 1982 e in pochi se n’erano accorti. È l’anno in cui un certo sig. Ek (Mats per gli amici) ridisegnò la geografia del balletto più tragico-romantico tra i balletti tragico-romantici, Giselle, conficcando nella storia della danza una nuova, preziosissima bandierina. Succede, dicevo, dal 1982, che alla fine del balletto il sipario si chiuda su un Albrecht completamente nudo in scena. Albrecht, giovane ricco e vanesio che ha fatto perdere la ragione alla sua Giselle, abbandonandola e tradendo il suo amore. Albrecht che prende il coraggio di entrare nell’ospedale psichiatrico in cui è rinchiusa. Dove danzeranno di nuovo e dove si perderanno per sempre. In mezzo a tante Villi versione pre-Basaglia, non più spiriti della notte, o forse sì, ancora spiriti della notte, la notte dell’anima, della ragione e del cuore, senza più tutù bianchi e alati ma avvolte in camicie di forza pulite e candide come anestetico delle emozioni.
È qui che avviene il percorso di rinascita di Albrecht, l’illuminazione dolorosa, l’acquisizione di una consapevolezza di sé mai così sconvolgente e limpida. Nudo. La totale dichiarazione di vulnerabilità, quella di chi realizza di aver sbagliato, di non aver vissuto, di non aver mai sentito davvero fino a quel momento. Quella di chi è pronto a esporre tutto se stesso, a esporre il suo corpo e con esso la sua anima, a gridare “potete uccidermi o lasciarmi vivere, tanto sono un uomo nuovo”, in una specie di laica conversione francescana.
Succede più o meno ininterrottamente dal 1982, si diceva. Ma se n’erano accorti in pochi.
Fino a pochi giorni fa. Fino, cioè, all’ennesima furbissima operazione di marketing, imbevuta di qualche goccia di (vera?) dabbenaggine, di stuzzicante voyeurismo da Grande fratello, del fiuto dei nostri giornaletti sempre più avidi di lettori.
Ci voleva, insomma, il pisello di Bolle – in progressione: riservato, vietato, marameàto, quindi rubato, trafugato, iutubizzàto, gne-gne – perché se ne accorgessero tutti. Perché finalmente il genio di Mats Ek travalicasse lo spazio di un palcoscenico per tuffarsi nella caciara nazional-popolare.

[Dialogo fuori dal San Carlo:
«E' proprio un capolavoro, questa Giselle di Ek, così struggente, questa rinascita finale inattesa, densa di paura e di speranza, trovi?»
«Oddio, guarda, io ero qui solo perché a me piace molto il cazzo» (quasi cit.)]

29.4.10

Attimi di Terroir

DeguStazioni uNgrofinniChe

Voto ai vini 
S. = 5.75
M. = 5.375
C. = 5.75

Media vini
5,625

Voto serata
10 +

Moleskine
In tre seduti davanti come in gita. Pensavo che il seggiolino fosse per me. Cercare notizia. Risposta pronta. Tutto il contrario di tutto. Collaborazione tri-partisan. Cazzeggio spinto. Viaggio molto breve. Molte strade sbagliate. Tutti i confini varcati. Molti più sms mandati. M. selvaggio. Paolo detto Andrea. Meni detto Moro. More dette bionde. Assessori e vips. Praga e Buri. Guarda che luna rossa. È l’Ikea. Chiedi direzione a hippie settantenne versione “chair district survivor”. Arrivo a destinazione. Sala immacolata. Troppi bicchieri sul tavolo. Tacchi a spillo. Panorama molto migliore. Ritardo&Attesa. Giornalisti&bloggersss. Ma un aperitivo, no? Presentazione vini. Glosse ugrofinniche. Coincidenze uNgrofinniche. Bollicine sa-pi-de. Passione e Talentum. Radenska a 13 gradi. Christian ’71 tutto sotto Sopron, di fondamentale terroir. Questo non è profumo. È odore. Questo vino puzza. Questo profuma ma sa di merda. Questo buono. Questo meglio. Questo tromba tantissimo. Le guarda il culo per il 20% per l’80 guarda il bicchiere. Distrazione che sale. Gradi che salano. Sale nel vino. Fame. Perdita progressiva della dignità, ma con dignità. Datemi il 2 a 0. Domande impertinenti. I soliti giornalisti polemici. Mormorii. Buuuu. Attimi di Terrano. Attimi di terroir. Terroir come se piovesse e invece ci sono le stelle. Cento e più denti divisi per tre, sorrisi e risate senza più pudore. Microfono. Bicchieri finiti, avanti con gli altri. Tavolo saccheggiato. Giù le mani. Loro pagano. Ancora domanda. Risposte sbagliate. Don’t kill him. Topogigio smiccia. Christian traduce. Ridondanze. Altre risate. Bicchieri svuotati. Generazione di fenomeni, generazione di terroir. È tutto lì. La “L” è portoghese. S. è wow. Gamba del tavolo. Passito-35 euro-bottiglia-e-me-cojoni. È sempre l’effetto terroir. Ma non entriamo su queste cose nazionalistiche, perché tutti i vini c’hanno il suo carattere. Otto. Otto vini. Niente cena. Cena dopo. Mini buffet. Finalmente. Aria aperta su villa di Troppo-Stroppienberg. E terrazzo mmmmmmmmmmmm. Brrrr. Mmmmm. E cicca tirata. Testa girante. Bagno. Bevo l’ultimo a arrivo. Io sono molto sensitivo. Spiriti. Alieni. Arteni. Qualsiasi cosa e Sassicaia. E quant’altro. Smettetela di limonare. Si va a casa. Con due di loro, un terroir e un terruar. Dieci più.

27.4.10

definizione


redazionale (s.m.) è quella cosa che, in pratica, paghi - con due distinte e inconfondibili voci in fattura - per avere a disposizione E cinque pagine E un professionista della comunicazione pagato, appunto, per riempire le suddette cinque pagine, invece sai già in partenza che lui è pagato in realtà per mandarti una mail in cui ti spiega come come devi riempire tu le suddette cinque pagine, caro ufficio stampa che invece non pigli un centesimo in più - ma neanche un caffè, intendo - per lavorarci sopra e nemmeno puoi prendertela se il suddetto professionista della comunicazione si permette di sottolineare nella suddetta mail profumatamente pagata che lui - a differenza di te, sottinteso -, è totalmente sommerso dal lavoro e, pertanto, può pure chiosare con un "mi raccomando, mi servono entro mercoledì". [vedi anche inculata (s.f.)].

26.4.10

Forse non mi sono capito / bis

Forward to the past

Buongiorno
Hai il testo del Presidente per la conferenza stampa del 28.01.2010 da fare in fiera ?
Devi mandarlo entro oggi ad Anto.
Grazie
Cordialmente/Best regards,

P.

[alla terza ce la fa. secondo me ce la può fare. (non ce la fa, non ce la fa...)]

on air now


24.4.10

esplosione cosmica


alla fine, mica la dovevo vedere, questa mostra.
ma è una galleria amica. la prima che ho visitato, che ho raccontato.
così, oggi, ho semplicemente cambiato strada d'istinto, e ci sono tornata.
perché no? ho pensato.
ho aperto la porta di vetro e ho salutato.
e ho cominciato, come sempre, a osservare i quadri della collettiva.
a entrare in the mood. 
tanti stili. tante mani. tante emozioni.
tante donne, qualche uomo, tra gli artisti.
io sola, tra i visitatori.
e poi.
all'improvviso.
un titolo.
la sintesi dell'incontro.
che è un po' come se "cosmic love" fosse ascoltata "with your hand in mine" (auto cit.)

and tonight we will connect the dots

22.4.10

Gli slandesi sono un popolo superiore

Non c'è Ajeje Brazorf che tenga

Eyjafjallajökull.
Sarò anche bionda, ma da quando ho scoperto il nome del vulcano che sta intasando l'aria e l'Ansa degli ultimi giorni, non posso fare a meno di pensarci, di trovarmi distratta di quando in quando, intenta ad abbozzare qualche riflessione linguistica e filosofica, evidentemente da autogrill. 
Averlo scoperto (e aver "rubato" questa meravigliosa foto e questo straordinario punto di vista) mi fa apprezzare di più, per esempio, la serena paciosità della lingua italiana, e nel contempo ammettere una sconfitta a livello genetico, proprio, di fronte alla smaccata supremazia del nord. 
Mi dà l'occasione di irridere chi ha sempre sottovalutato la lingua islandese, pensando che Björk, tutto sommato, non sia così difficile da pronunciare, poiché ignora completamente il fatto che la bizzarra cantautrice, in realtà, si chiama anche Guðmundsdóttir. E parliamone.
Mi concede poi, per una volta, di giustificare il pressapochismo e il piuomenìsmo dei gionalisti italiani, categoria a cui mi sfregio di appartenere, nevvero. Per la precisione, infatti, Eyjafjallajökull è il nome del ghiacciaio. Il giacciaio è il contenitore, il vulcano è il contenuto. Come una matrioska (матрёшка). Bisogna infatti togliere jökull (ghiacciaio) e quel che resta sono più o meno un'isola e una montagna. Cioè, in soldoni, il vulcano. Anche intuitivo come metodo, volendo. Ma come biasimarli?
Insomma. Sono ammirata. Estasiata. Stupita.
Eyjafjallajökull è la second e pure la third life dell'alpinismo linguale. Sbaraglia qualsiasi paralipomeno della batracomiomachia.
Non c'è storia.
Islanda-Italia: un fantastilione a zero.
E non tirate in ballo la crisi economica, l'ex Paese dei Suv che ora deve fare i conti con i picchetti fuori dal parlamento di Reykjavík - nella regione di Höfuðborgarsvæðið, peraltro.
Non c'è proprio storia.
Certo, ho pensato anche. Magari, la pronuncia.
Magari è più amichevole dell'impatto visivo.
Allora, facile-facile, sono andata qui. E ho cliccato su ascolta.
Proprio non c'è storia.
I love Iceland.

Lancio*

(ANSA) SALONE MOBILE: CCIAA UDINE, SEGNALI POSITIVI NONOSTANTE VULCANO 


*ho tentato di non postarlo, ho tentato con tutta me stessa. ma non ce l'ho fatta. troppo orgoglio.

21.4.10

mornin' libido

perfetti se gustati dopo aver faticato parecchiotto a uscire dal piumino (non d'oca) e se scaldati al micro per tipo 1' 10'', giusto il tempo di far sciogliere tutto il burro nelle volute dei rotolini e inondare la cucina di profumo di cannella che-non-avete-un-'-idea. 
piucheperfètti se accompagnati a uno stronghissimo caffè americano in tazza stelle e strisce (o union jack) e al succo di quattro arance rosse di sicilia (del pam) appena spremute, rigorosamente a mano.
più che piucheperfètti se gustati sul tavolo nuovo, mentre si fa la rassegna stampa dal portatile, fregandosene di essere in ritardo clamoroso per l'ufficio. 

d'ora in avanti, la spesa si fa qui.

20.4.10

Three little monkeys

(e una Pavone


Una è appena andata via. Una c’era ma non ha visto. Una ha sentito qualcosa ma non può parlare perché non è di sua competenza. 
E io canto. Che è meglio.

[...tu-du, duu-du... un colpo sulla testa / a chi non è dei nostri... tìca-ticà... nananannà...]

17.4.10

Bello volersi bene

Quasi ci inciampi addosso. È vestito di arancio e catarifrangente. Non sai nemmeno che faccia abbia, ma sta semi-sdraiato sul bordo di un ponticello con il parapetto di ferro battuto, un ponticello che calpesti più o meno ogni santo giorno, e sbuffa il fumo di una sigaretta, con le gambe allungate e incrociate all'altezza delle caviglie. Per pochi istanti piombi dentro un fotogramma di quella che è probabilmente la prima pausa della sua notte lunghissima, dell'ennesima notte che ignori, dell'ennesima notte passata con il compagno di tante altre notti. Due "poliziotti" a caccia di spazzatura. Ci passi in mezzo con le dita intrecciate alle altre dita, quelle che sono diventate tue da così poco e da così sempre, e quasi non fai caso a loro perché è tutto magico nell'aria, e allo stesso tempo ci fai caso proprio per lo stesso motivo. Ci passi in mezzo rincasando da una serata nata, come tutte le cose speciali, dal destino e dal caso e da tutti i loro sinonimi, una serata che svicola dai programmi, perché i programmi sfumano in un battito d'ali per una coincidenza capitata sulla strada. Si mescolano emozioni, le tue, le sue. Le vostre a quelle di altri. Di altri che per te sono grandi. Che per te sono importanti, anche se forse riesci solo a farglielo capire, senza dirglielo abbastanza. Anche se riesci pure a dimenticarti del loro compleanno. Eppure ci sei sempre per loro. Glielo vorresti proprio gridare e invece glielo hai sussurrato con la commozione di un abbraccio. Vuoi proprio che lo sappiano, che lo capiscano. Che capiscano che ti hanno messo a parte di un segreto straordinario, quel segreto che, sì, magari ti ha sempre un po' emozionato, ma mai come questa notte. Loro mica se lo aspettano, di averti emozionata così tanto. Ma tu invece lo senti con una consapevolezza mai così limpida. Come senti che non ci sarebbe stato momento migliore, migliore per ascoltarlo stringendo forte un'altra mano che ricambia il tuo intreccio così spontaneamente e sorprendentemente. Migliore perché loro sono due persone migliori. E l'acqua della roggia scorre e sospira forte, e il suo chiacchiericcio copre e scopre il rimbombo dei pensieri, sovrasta lo scarso traffico notturno, che pure rimbalza di palazzo in palazzo, come se quei muri giocassero al telefono senza fili, riportando il messaggio da un fregio ottocentesco a un alambicco liberty. L'acqua ti scorre dentro, ti lava, ti rinfresca. Ridà vita a parole di cui non ti stanchi mai, a parole nuove che ti scuotono forte, a emozioni di altri che si mescolano a un turbine di emozioni tue. Emozioni tue che sono diventate emozioni “nostre” come in un sogno. Scopri che i miracoli non si facevano solo 2010 anni fa o giù di lì. Scopri che si possono replicare ogni santo giorno, ogni santa notte, quando il destino decide che è ora di respirare e di volare, quando meno te l'aspetti e quando più ne hai bisogno. Che sarà anche banale, ma le cose più belle si nascondono dietro ogni minuscolo angolo della vita, quella di tutti, quella di due e di due, quella raccontata passeggiando dentro l'inizio di una notte che porta all'ennesima alba, nuova, di nuovo, originalmente originale e unicamente unica, quella del sempre. Dentro una storia che ha la musica di un minuscolo corso d'acqua che scorre e canta, di due poliziotti a caccia di spazzatura, che non sanno nemmeno di aver preso parte a questo piccolo miracolo, facendo risorgere dalle macerie della vita la meraviglia della vita.

14.4.10

Forse non mi sono capito

Buongiorno C.
in occasione degli eventi internazionali che questo ufficio sta seguendo (conferenza stampa alla fiera e seminario design) avrei piacere di parlare con me al fine di buttar giù un testo per il Presidente.
Grazie
Cordialmente/Best regards,
P. 

(mail ricevuta poc'anzi. modestamente)

 

13.4.10

pelle d'oca

*

un giorno di marzo t'inventi una scusa per andare in un paese in collina in cui non vai praticamente mai. la scusa è credibile, ma neanche troppo. chi ti ascolta sta al gioco, però. e, anzi, lo inventa con te, il gioco. spingendo avanti la sua pedina una casella alla volta, attendendo un rilancio per rilanciare a sua volta. e viceversa.
gli chiedi «dove sei» e ti risponde «conta fino a 72». tu ridi e cominci a contare davvero.
è una bellissima giornata che sta tramontando, di quelle che-non-ti-aspetti-mica-niente-eppure. 
di quelle che si trasformano in una serata frizzantina, di quelle che-potevano-anche-finire-all'apertivo-invece. 
bollicine, parole, 42 canzoni, friuli, stelle e risate, e come digestivo un paio di scure spumose sotto una volta celeste di mattoni rosa.
scopri che il gioco è in realtà un puzzle da ottantamilioni di pezzi, che però riesci a disporre con sorprendente convinzione, uno alla volta, senza forzare mai i contorni come fai di solito, da brava pasticciona.
apri parentesi e subordinate che cominciano adesso e finiscono due ore dopo con un "ah, ti dovevo dire", tanto che i discorsi si completano solo certe volte. e altre no. ma non te ne importa niente. perché tutto torna lo stesso e il quadro si cerchia. perché ripensandoci dopo un mese it feels like home, to me.
poi a un certo punto stai parlando veramente di tuttotutto e, sì, è praticamente mezzanotte e invece di citare scarpette e cenerentole stai ciarlando, più da animalista che da ghiottona, di un agriturismo a cui peraltro stai facendo compiaciuta pubblicità con questa foto qui sopra.
ed è irresistibile la battuta giusta agganciata al momento giusto, tanto che la prossima volta che ti daranno dell'oca non solo non ti offenderai, ma ti scapperà un sorriso.
anche se... come te l'ha detto lui, nessuno.
 

10.4.10

Skål!

(Simpathy for the Danes) 

DANIMARCA
Niente birra sul posto di lavoro: da 2 giorni sciopero alla Carlsberg 
COPENAGHEN. Niente più birra sul posto di lavoro. E i dipendenti scendono in sciopero. Succede alla Carlsberg, colosso danese della birra, dove da due giorni gli operai dello stabilimento di Fredericia, nello Jutland, hanno incrociato le braccia per vedere rispettato l’accordo aziendale di poter bere tre birre durante ogni turno di lavoro. L’azienda ha invece imposto, dal primo aprile scorso, una sola birra al giorno, da consumare durante la pausa pasto. Secondo quanto scrive l’edizione online del quotidiano The Copenaghen Post, la Carlsberg ha imposto una nuova politica aziendale sul consumo di alcol sul posto di lavoro.

(vi capisco. e canto con voi)

9.4.10

la provvidenza

(malavoglia reloaded)

si entra in autostrada.
coda.
immediata.
infinita.
in un'ora e mezza riusciamo a fare 20 chilometri.
intanto lavoro al pc, scarico foto, mando mail dal cellulare.
(per la policija: giuro, non sto guidando io)
la tecnologia un po' mi aiuta.
qualche chiacchiera.
anche quella aiuta, un altro po'.
a un certo punto, disintegrata dalla noia e dall'impazienza di tornare, giro lo sguardo fuori dal finestrino e butto un occhio svogliato ai colleghi di fila, nella corsia vicina.
a chiudere il cerchio, a dare un titolo, a sintetizzare pienamente questa attesa snervante, l'allusione esclamativa della provvidenza.
dal veneto alla germania. un solo grido, un solo allarme.

4.4.10

èppi ìster

(evribòdi oleràund)

tags: su misura, primavera, stupore, semplicità, sorpresa, genio, amore, risurrezione

2.4.10

fioretto


il venerdì santo non si dovrebbero mangiare dolci.
e il gelato è inconfutabilmente parte della categoria.
per questo, se ne può al massimo parlare, e di scorcio, e lasciare una foto altrettanto diagonale, un invito da cogliere per domani, dopodomani, eccetera, suggerimento ammiccante di una vetrina un po’ sciccósa del centro.
il venerdì santo si fa il fioretto, ti insegnavano da piccola.
ma la sera prima, mentre tenti di guardare un film con il videoproiettore appoggiato sopra un muro di dvd tirato su in dieci secondi che neanche un bergamasco, e quel film è un po’ rovinato e proprio non ne vuol sapere di funzionare, neanche se lo sentisse… ecco, la sera prima puoi anche permetterti di scegliere la schermata blu come illuminazione della scena, stenderti sul tappeto ciccione e spartirti con disinvoltura tra un adiposo cookies&cream e una cascata di parole.
sapete che succede? succede che prima o poi – visto che è il giovedì prima del venerdì santo, appunto, e forse credi nelle coincidenze, e fuori piove – finirà che dici «adesso a dormire» una quindicina di volte. e lo dici con convinzione, eh? ma senza una vera risolutezza. e succede che finisci a parlare anche di mistica e di folklore, di dogmi e superstizione, di darwinismo e creazionismo. e un sacco di altri -ismi. e se i cucchiaini sono due, mentre i residui del gelato si sciolgono sul fondo del cartone e tu hai la certezza di sentirti meravigliosamente bene anche se è meravigliosamente tardi, alla fine ti troverai a parlare di amore. a parlare di dio.
 

cortesemente "rubato" da loro