12.3.10

Grazie (al cazzo) per la considerazione

Ne parlavo con T., stamattina. Devo ammettere, gli dicevo, che io sono anche fortunata, perché ho gli occhi azzurri e le tette piccole. Quindi lo sguardo del massschio si sposta sì sul decolté (o come diavolo si scrive), dopo pochi istanti. Ma quasi subito ritorna sullo sguardo. C’è da buttarla sul ridere, ma da buttarla sul ridere con la testa. Specie oggi che non è l’8 marzo, oggi che non è un giorno speciale. Come non c’è un giorno speciale per rimarcare una considerazione sociale né tanto meno c’è un giorno speciale per farsela calpestare (la considerazione). Non parlo di quegli automatismi istintivi e totalmente innocui praticati indistintamente da eterosessuali, omosessuali o bisessuali, atteggiamenti che sarebbe stupido e ottuso criticare. E non parlo nemmeno, all'opposto, della violenza “vera”, capitolo a parte, fiumi di parole a parte da trattare a parte e con tenore a parte. Oggi mi riferisco “solo” a quelle cosette apparentemente inoffensive, fatte per semplice tonteria o superficialità, magari non con cattiveria né consapevolezza. Anzi. Ed è l'"anzi" il dramma.
Qualche rapido esempio, che il discorso diretto di solito è più efficace: 
1. «Adesso capisco perché ti ha presa, il presidente» (mentre ti fa una Tac completa squadrandoti dalla testa ai piedi senza il minimo pudore, che neanche il dottor House).
2. «Ancora 5 minuti prima della riunione, ma vi lascio in compagnia di questa bella ragazza» (che vi intratterrà - per inciso - non parlandovi di politica, ma accavallando alla Sharon Stone).
3. «La mora e la bionda, le veline dell’ufficio stampa» (tralasciando peraltro che neanche se una prendesse l'altra sulle spalle arriverebbero all'altezza di una Costanza Caracciolo).
4. «Sai con chi se la fa adesso? Con l’assessore ***/l’amministratore delegato ***/il presidente di ***» (hai appena cambiato lavoro, metti caso che quel lavoro ti piace pure e che magari non sei neanche malaccio, professionalmente. E che quel lavoro è visto dall’esterno come un posto di un certo prestigio)
Qualche esempio a caso. Tutte conclusioni a cui si arriva partendo dal postulato che una donna deve aver fatto dei pompini di tutto rispetto a qualcuno di tutto rispetto per essere dove è. Stessa storia quando perde il lavoro: come direbbero a Quark, dopo qualche mese, a causa dell’usura, i denti della femmina tendono ad affilarsi troppo; ella comincia a diventare insopportabilmente petulante, come lavoratrice, perciò viene scaricata. 
Bene, oggi che è un giorno qualsiasi e non è un giorno speciale, è un giorno secondo me giusto per ricordare uno spot (grazie sempre a T.) e un documentario (grazie ad A.). Il primo intelligente e scanzonato. Il secondo serio e pure un po' inquietante, altrettanto intelligente e responsabilizzante, quanto meno per chi vi parla, nel senso che evidenzia come siamo anche noi donne – genere femminile, singolare e plurale, individualità e condivisione di gruppo – a "permettere" di essere guardate così, di essere interpretate così. E talvolta siamo anche brave ad approfittarne. È drammaticamente vero. Ed è difficile stabilire un confine tra le colpe e le volontà, quando si è culturalmente e istintivamente portate a sentirsi bene, a sentirsi belle, a farsi guardare, mentre allo stesso tempo si deve dimostrare di avere un paio di coglioni in più di un uomo, per farsi considerare. Sto attenta perché il ghiaccio è così sottile, il confine è quasi Schengen, maledizione, che si rischia di scivolare nel più becero lago maschilista. Mi difendo subito: non sto affatto cadendo nella trappola tesa da quella mandria di deficienti che sbandierano presunti atteggiamenti provocanti della donna come giustificazione di una violenza. Intendo parlare proprio d'altro. Dire cioè che molte volte siamo noi, io e noi tutte, a farci calpestare, ad andare a sbattere da sole contro un muro, con eccessiva leggerezza. Il muro sono gli stereotipi, sono le abitudini, è la cultura pseudoreligiosa, sono le facce di plastica e i culi di marmo, l’assenza del tempo, l’assenza del cibo, le foto, la tv, gli spot delle merendine e delle famiglie perfette e felici. Il tampax promozionato durante le soap opera e la recensione dell’ultimo completino giallo di miss Obama riservata rigorosamente a una giornalista donna. La forza smisurata dei pièrre della facciata. 
E noi che li assecondiamo in silenzio.
Insomma, non so se alla fine sono riuscita a dire quello che volevo dire - mi capita spesso e perciò altrettanto spesso penso di cambiare mestiere (e dunque partner sessuale, ça va sans dire). Però ci penso, no? E anche sorridere sempre, sorridere solo, semplicemente darla vinta, anche di fronte ai più piccoli, insignificanti soprusi, non è un segno di superiorità. Forse è un po' una stronzata. Fare il proprio lavoro, essere simpatiche, essere professionali, possibilmente fighe e non trasformarsi mai nella suocera acida frigida arcigna bisbetica che nessuno vorrebbe avere. Mica facile, sapete. E io non ho soluzioni o dogmi da imporre, perché non sono una stratega né una psicologa né una politica. E poi il dibattito è aperto: quanto siamo consapevoli del nostro potere sessuale? Quanto ci è utile e quanto lo usiamo noi stesse per ottenere vantaggi? Ancora: quanto è vendetta cosciente e quanto è invece assimilarsi a una comunità basata sul gusto del maschio? 
Magari vale la pena di pensarci su una volta in più. E non dico di essere violente, ma di essere sveglie e decise. Di usare la testa. Magari sorridere, ma sapere che esiste il sarcasmo. Non dico di rigargli il suv, insomma. Anche se, a dirla tutta, so benissimo dov’è parcheggiato... 

p.s. Quasi dimenticavo una cosa non certo secondaria. T. e A. sono due uomini. Di quelli speciali, che certe volte ti fanno diventare matta, ma che, sempre, ti fanno sentire fortunata. Perché la vita ha voluto che tu incrociassi i loro passi.

5 commenti:

marcopress ha detto...

terreno realmente scivoloso, ma gestito alla grande. Ecco perché non so mai se c'è tempo per una birra, ti leggo, mi prendo, ragiono, e pure rispondo.

canzoni di viaggio ha detto...

tra l'altro dovrei fare un pièsse. lo faccio? lo faccio? ok, lo faccio. 'petta, eh?

canzoni di viaggio ha detto...

fatto. non si vede come pièsse, ho direttamente modificato il post. assssstuta.

ElenaC ha detto...

...pregiudizi e preconcetti. La bella follia è che a volte si può sfidarli con un semplice sorriso (e i chilometri di testardaggine sotto).
Molto bello il documentario, come dire... ci sta!
Elena (;) si, da stamattina ho ricordato il nome del blog)

canzoni di viaggio ha detto...

elenaaaaaaaaaa! non avevo visto il tuo commento! grazie e... ora che ricordi la strada, torna quando vuoi. sei la miglior... ehm, la benvenuta! :)))