26.2.10

Tonight is the night

Un mese e due numeri. Il mese è febbraio. I numeri sono 26 e 1511. Cioè un oggi di 499 anni fa.
Siete ancora in tempo per il superenalotto, io ve lo dico. Perché gli anniversari si ricordano spontaneamente finché continua a vibrare un’emozione. E da queste parti continua, potete credermi. È una vibrazione che mi sembra funzioni tipo una sveglia, attivata in un istante remoto e poi dimenticata. Una sveglia che si mette a squillare all’improvviso, scuotendo dalle nebbie del sonno quell’istante remoto.
Occhio che, se fosse il 1511, domani sarebbe giovedì grasso. E si chiamerebbe, con un sapore un po' così, zobbia grassa. Mica male. Peraltro, se fossimo a Udine, e dico Udine centro, questo nome, qualche tempo dopo, riceverebbe in dono un aggettivo qualificativo destinato a rimanergli appiccicato per sempre: crudel(e). Splendido regalo, la storia. Già.
Ma torniamo a oggi, perché è oggi che conta. Perché, dico... se oggi fosse proprio il 26 febbraio del 1511, quell’aggettivo non ci sarebbe ancora. Ci sarebbe solo una vigilia. Ci sarebbe una coincidenza, da chiamare caso e fortuna.
Un ballo in maschera, ché in tempi crudeli anche l’odio si traveste per carnevale.
Il costume è d’effetto. E funziona. Funziona per il tempo che serve. Per il tempo che basta per scambiarsi un bacio e una promessa.
Allora, ok. Riavvolgiamo il nastro, cari i miei romanticoni - vi ho visti comprare i cioccolatini a forma di cuore, a San Valentino, è inutile fare i duri adesso. Insomma, sbuchiamo in piazza Venerio e lasciamo che l’immaginazione ricostruisca pietra per pietra un palazzo che non c’è più. Un palazzo di quelli un po' fighetti. Ristrutturiamo accuratamente le mura, cuciamole insieme con dell’abbondante colla vinilica in uno stile che sia veneziano ma anche un po’ austriaco – perché 499 anni ci hanno insegnato a essere bipartisan –, seguendo con attenzione il perimetro di fondamenta. Le vedete? Sì, perché si vedono ancora, intagliate nel cemento con cui è stata ricoperta la piazza molto più di recente. Fatto?
Perfetto. Ora immaginiamo stanotte. Immaginiamo Lucina nel suo abito più bello, pronta ad affrontare il suo ingresso in società. Facciamoci scortare lì da Luigi, inviato in incognito per sorvegliare gli avversari, nascosto dallo schermo di una maschera. Luigi che dimentica il suo incarico e si lascia distrarre dalla luce di uno sguardo nuovo – e meravigliosamente “nemico” – da intrecciare al suo. Tirava così anche all'epoca, e ringraziatemi che trattengo la mia abituale trivialità. Ebbene, dicevo Luigi e Lucina. Due ragazzi separati dalle faide familiari e politiche. Due ragazzi che stanotte incroceranno il loro sguardo per la prima volta, ascolteranno la stessa musica e balleranno insieme. Le loro mani e le loro labbra si sfioreranno. E loro danzeranno alla stessa cadenza, quella di un cuore che batte e ribalta lo stomaco.
Volete scegliere le parole migliori per descrivere un amore tragico? Le ha scritte Shakespeare, non si discute. Ma pare proprio che, senza andare a scomodare i perché e i percóme, gli sia capitata tra le mani la cronaca, rivista e corretta, di una storia d’amore udinese. Proprio quella che sta per sbocciare stanotte. Vero vero, eh? Fidatevi sulla parola. E se non vi fidate, leggete qui o qui (o dovunque pensiate siano più credibili di me). Stanotte, però, non c’è ancora nulla di tragico. C'è solo quell'amore immenso, che ancora deve nascere. C’è ancora solo il bello. 
Allora corriamo questo rischio, perché le parole dell’amore sono imprudenti, si sa, e ci si deve buttare. Non ci si può mica trattenere. Lasciamo che accada tutto, che accada di nuovo. Adesso non pensiamo al dopo. Adesso aspettiamo solo che la sera si svegli e spinga giù le nuvole. Ché per domani mettono sole. Lasciamo che stanotte sia una notte speciale, qui a Udine, che si schiuda in un bacio un amore impossibile, di quelli che avranno bisogno di essere scritti, di diventare testo, come medicina per il dolore. Liberiamo questo amore, per stanotte. Lasciamo che nascano di nuovo qui, per un milione di volte, Romeo e Giulietta. E lo so che tutti avete ben chiaro in mente come andrà a finire, cari i miei saputelli. Ma fate finta di niente, oggi... eh? 
Acqua in bocca.
Facciamo che stanotte si sogna e basta.

25.2.10

nuance


c’è da levarsi le calze dagli occhi, quelle che ho avvolto e annodato alla testa come maldestra mascherina paraluce.
c’è da scoprire che il sole spinge forte dalla finestra e si spande dentro due iridi che non si vogliono proprio rendere conto che è giorno. perché lo era già un attimo fa, mentre m’infilavo sotto le coperte. è già giorno, è giorno sempre, è sempre notte.
ci sono il sole di adesso e la luna di poco fa, e si guardano, come quelli di carta d’oro ritagliati e appiccicati sulle finestre della sala.

c’è la doccia che aspetta solo di fare il suo lavoro, di abbeverare un corpo e una faccia aridi di un paio d’ore di sonno.
c’è un sorriso che spunta estemporaneo e incontenibile e stupido e allegro, per dare l’espressione di oggi al viso di sempre.
c’è che le braccia e le gambe non reggono.
c’è voglia matta di un caffè e non avere tempo per prepararlo.
c’è da vestirsi e mettersi in marcia dentro il cielo blu – ma blu-bluissimo –, attraverso una mattina insolitamente tiepida e gradevole; attraverso la gente vispa e la gente assonnata che si aggrappa a una brioche per non cadere; attraverso i macchinoni in doppia fila impazienti di rombare di nuovo, al termine della colazione vip; attraverso il mercato senza cinesi, il mercato di pesci e sciarpe e frutta e borsette e puzza e secchiate d’acqua sulle lastre della piazza; attraverso studenti e lavoratori, impiegati, operai, manager, fattorini, furgoni, biciclette e passi spediti; attraverso pane fresco e dunque caldo, muratori già stufi di essere svegli, ristrutturazioni e cemento e profumo di colazione; attraverso due vecchine di quelle di una volta, che sembrano finte da quanto sono luoghi comuni al gusto di polvere e bauli, con il fazzoletto scuro in testa, il golf di lana massiccia e la goccia che pende dal naso; attraverso la giostra dei bambini che si specchia sulle vetrate del municipio; attraverso dazed and confused (and happy) e barcollare ubriaca di tutto e di niente, leggera e affamata, come un mini-trampoliere con gli stivali e lo stomaco parlante…
c’è da vestirsi e mettersi in marcia dentro tutto questo arcobaleno, dentro la città che si sveglia amica.
c’è da vestirsi con tutto quello – e solo quello – che capita sotto tiro per fare in fretta.
c’è da vestirsi così per non sbagliare combinazione.
perché oggi, per tanto e per poco, per tutto e per niente…

oggi porto addosso tutti i colori del mondo.

22.2.10

Cercasi fabbro disperatamente

Maledetta serratura! Rinominando l’intero pantheon con alias decisamente poco aristocratici, Giulia estrae la chiave dalla toppa e la infila di nuovo. Due, tre, quattro volte. Ripete infastidita il trucchetto da tirocinante della manomissione. Finalmente il fatidico “clic”. Beccato il dentino giusto. Dentino farabutto.
Fa così da un po’ di giorni.
Però, poi,
la chiave gira. Bastano quattro agili pirouettes e si apre casa. Non è neanche troppo tardi e la pioggia sta per arrivare, ma sta ancora tergiversando. Se ne sente l’odore nell’aria. E il sapore nelle ossa: è come se le stessero scolpendo l’anca con la canna di una pistola che ha appena sparato. La saggezza della vecchiaia travestita da flogosi. «Devo farmi vedere», pensa. Se lo dice sempre. Lo farà, una volta o l’altra. Sicuramente l’altra.
L’appartamento è così caldo che deve liberarsi subito dal piumino per non soffocare. E no, stasera niente pc, niente musica. Solo un ultimo cicchetto, prima di prepararsi per la notte, mentre il palazzo la segue. Silenzioso, addormentato come sempre.
Chissà che fanno, dall’altra parte del muro. Le luci sbucavano da sotto gli altri usci mentre percorreva il corridoio, quindi qualcuno doveva esserci. Certo, non è detto che fosse vivo.
Chissà che fanno. Chissà che pensano faccia lei.
Se lo chiede mentre sorseggia serena il suo liquore dolce, scorrendo distrattamente il programma del cinema. Poi via a lavarsi i denti. Stanotte c’è tempo per leggere nella totale assenza di rumori della cameretta. Via il trucco in una mossa, via i vestiti, si sistema i capelli a corona sul cuscino e accende la sua abat-jour a forma di sfera magica. Che le piace sentirsi un po’ strega.
Nei giorni precedenti aveva per le mani un libriccino devastante: storie di droga, di overdose, storie di periferia e di assistenti sociali, storie di madri e di figli, di donne normali pugnalate dall’anormalità della morte più infame. No, stasera no. Meglio uno spintone giù dalle scale.
Sapendo a cosa andava incontro, si era comprata in seconda battuta il best seller del momento, un librone da un chilo e mezzo giusto giusto per le emergenze. Eccola l’emergenza. Per distrarsi dagli orrori del “piccolino” e affidarsi alla rassicurante promessa della quarta di copertina del “ciccione”: «Vi terrà svegli fino all’alba». Questo ci vuole.
Comincia a sfogliare le pagine, immersa nel fornetto della trapunta. Comincia a seguire la storia ancora confusa e a far conoscenza dei personaggi dai nomi taglienti come notti e giorni che non finiscono più.
Mentre il suo nuovo amico Karl parla tra due virgolette, giù di sotto si apre il cancello automatico, con il solito ronzio del motorino. Ormai ci è abituata.
Poi uno strepito. La porta d’ingresso del condominio sbatte con violenza. «Rientro difficile», pensa. Guarda l’ora: mezzanotte e dodici. «E qualche cicchetto di troppo», aggiunge sogghignando. Ma il ghigno si smorza subito. Scarponi e scarpe con il tacco spezzano la pace calpestando con violenza i gradini, come una marcia di guerra. Passi che vogliono rompere il pavimento di marmo del corridoio. Le chiavi della vicina ruotano furiose e sembra che la porta si scardini. E poi giù di nuovo, sbatte anche questa.
Discussioni ovattate dalle sequenze di muri. Tachicardia. Discussioni ad alta voce ma indistinguibili. Di nuovo la porta di Yelena – è solo un nome, con un cognome russo, sul campanello di fianco. Un nome per chiamare la sua vicina di casa senza volto.
La porta d’ingresso, giù al piano terra, si riapre e sbatte di nuovo. Fa entrare altre scarpe, altri passi cadenzati da sommossa.
Che diavolo succede stanotte, nel condominio degli zombie?
Poi tutto tace.
Una goccia cade a intermittenza, svogliata, da chissà dove. Dalla sua doccia.
Tutto tace tranne questa goccia che rintocca secca contro la plastica del balsamo per i capelli. Questa goccia che lievita e si espande nella sua testa come un martello gigantesco contro un gong.
Dal vuoto stride il gracchiare di un campanello. Spaventoso come un urlo.
«È il mio».
Cazzo. È proprio il suo. Mezzanotte e sedici. Quella grattugia insopportabile. Aveva sempre pensato di abbassare il volume per non morire d’infarto e l’averlo fatto prima le avrebbe forse risparmiato l’attacco a cui ora stava cercando di sopravvivere.
In un istante, zitti tutti. Zitto tutto. Di nuovo.
Pausa.
Rarefatta e ingannevole.
Dura pochi, pochissimi secondi.
Giulia trattiene il respiro e chiude gli occhi.
«Vi terrà svegli fino all’alba», eh? Maledetto libro. Maledetta goccia. Maledetta serratura!
Giulia scivola giù dal letto come un gatto. L’avrà richiusa a chiave, la porta?
Giulia è sola.
Giulia è sola con il suo cuore, che pompa come una turbomacchina.
Striscia verso l’ingresso cercando di volare, facendosi leggera come un foglio di carta, attenta a non fare il minimo rumore. Perché metti che sono proprio lì. Lì fuori. Separati solo da un rettangolo di legno e ferro. Che non è neanche male, come divisorio, ma in questo momento neppure Gandhi riuscirebbe a essere di conforto.
Di nuovo la porta di Yelena che sbatte e Giulia che sussulta, soffocando un grido. Voci che bisbigliano nervose, lì a pochi centimetri, passi che comprimono ancora il pavimento.
«Apri», sente.
Giulia indietreggia di qualche centimetro.
Staranno dicendo a lei? Riesce solo a pensare a quella mattina, quando a colazione era suonato il citofono e le avevano chiesto di Yelena. Un uomo. «Mi sa che ha sbagliato campanello», lo aveva avvertito lei con gentilezza. Lui si era scusato, con altrettanta gentilezza, ed era scomparso.
Uno stupido errore. Ma sul suo campanello non c’era scritto Yelena, cazzo!
Avranno sbagliato davvero?
Staranno sbagliando di nuovo?
Dallo spioncino filtra la luce del corridoio. Quelli sono lì fuori. E non sono al buio.
Allora prende coraggio e avvicina l’oc

rassegna(ta) stampa again

 Bertolaso a San Fratello: «Su di me solo fango»

[mmmmmm...]
[...]
[...]

20.2.10

rassegna(ta) stampa

Soffoca il figlio di 6 anni e si uccide  
La macabra scoperta fatta dal marito rientrato a casa per il pranzo 
DRAMMA SFIORATO

[da un quotidiano locale. vero. effettivamente poteva andar peggio. fiuuu...]

19.2.10

arrivederci amore ciao

l'ho scritta ieri, dopo aver raccolto la tua parola magica, che aveva il nome di un fiore
la prima canzone di viaggio
canzone davvero
la prima in assoluto
per dirti che le nubi sono già più in là
o un po' più in là devono andare
e ce la metterò tutta

la prima in assoluto
per dirtelo con un sorriso sincero
che significa sei speciale sempre in ogni modo

e adesso consegno quel sorriso all'energia grezza di altre note
house from home

niente strascichi, niente rimpianti, niente struggimenti
niente secondi fini
solo un fine
assoluto e limpido
ché non serve avere paura

solo un fine
dirti arrivederci amore ciao
ballando sul tappeto morbido del mio microsalone
in un micromomento di microfelicità e microbellezza
mentre fuori piove e persiste 
come sempre da queste parti

dentro però c'è uno strano sole
con i raggi ancora fragili
che a volte si fanno e si faranno inghiottire da questa nebbiolina che sembra novembre
[SCOIATTOLO!]
ma c'è questa luce

forse solo il riflesso dei miei denti
che aiutano la lingua a scandire le lettere
del mio desiderio
del mio augurio
per te
tutto il meglio che merita il tuo essere irripetibile
buon viaggio

(in attesa che possiate leggerla e ascoltarla, che sia sparata su virgin in tutte le fasce orarie e diventi il tormentone dell'estate 2-0-1-0 e quindi la prossima soundtrack della pubblicità della tim, vi invito a portare pazienza, a non strapparvi i capelli per la pressione della curiosità e ad aprire piuttosto un fanclub sulla fiducia. stay tuned. stay stoned. stay beef)

chi dice che cosa?

il senso della realtà è andato completamente a farsi fottere.
il senso del sacro, come direbbe guzzanti-la porta, è andato completamente a farsi fottere.
dai giornali la conferma, anche oggi, che il mondo è sottosopra: l'assurdo, il non-senso, l'ossimoro, disinvoltamente legittimati dalla granitica ottusità di titoli d'apertura.

tipo questo
o ancora questo

...e continuiamo tutti a dormire.

18.2.10

graziesignoregrazzzzie

(loving nietzsche)

...però almeno dammi un senso.
fatto.
[così sì. anzi yessssssssssssssssssss(bis)]
[ah, facciamo il  solito caso. facciamo che la canzone di viaggio per stanotte è questa. perché adesso ti ho ri-conosciuto. sognidoro]

17.2.10

sospeso

yessssssss.
e stanotte si torna a 18 (anni), moby.

15.2.10

Born in the Fvg

...e dico: "breogubàdo" dall'ennesima bizza del più fashion (e sano) dei jackson five?
amico di amici, in fondo. su feisbùc, da buona furlana, li ho bloccati, gli amici di amici. troppa gente. tutti amici, già. che poi non la finisci più, come ai matrimoni con settecento invitiati. quelli che, come dice roberto, "quanno hai finito gli antipasti, puoi torna' a casa e aspetta' de caga' pe quattro giorni e poi torna' a magna' i primi".
pacchiano e tremendamente fuori luogo.
il delirio assume proporzioni insostenibili, da oritcaria.
tipo in queste ore. tipo sempre.
aiuto.
superficie e chissenefotte su tutto, spallucce su tutto.
una pizzeria da rifinire a punto croce con una bella "x".
zitti tutti un attimo, maledizione.
lasciatemi ascoltare.
ascoltatevi, cazzo.
lasciate che mi ascolti, cazzo.
tipo silenzio.
luce calda, ma bassa bassa.
come piace a me.
spegni notizia.
spegni informazione.
accendi cuore.
cuore rosso.
il mio.
accendi musica.

stasera questa.
canzone di viaggio dal nordest, per subito.

& quot

Lunedì Grasso (Aldo)

«[...](Fabio Caressa si è superato nella reticenza e nell’eufemismo e Buffon ha detto di avere uno «zio porcello », il famoso porco zio)[...]»

- che poi non si dica, a partire da me, che non leggo mai niente di sport. soprattutto in giorni come questi -

13.2.10

Sabato (in)grasso

Le vecchie strade del centro sono prese d'assalto da una giungla di minuscoli tigrotti, che si aggirano barcollando sotto il peso delle pellicce maculate. Inciampano malfermi sui sassi addolciti dal calpestio di miliardi di scarpe, ogni fessura zuppa della nevicata di coriandoli, accesi dalla luce di un cielo blu come d'estate.
Piccoli dalmata, orsacchiotti, asinelli e topolini, tanti animaletti pelosi che si contendono carezze e abbracci, che si destreggiano tra corse improvvise e cadute altrettanto improvvise nello zoo del carnevale, mentre le mamme illuminano a intermittenza questo sabato d'inverno, in bilico tra l'ingenuo e l'ammiccante, con le loro orecchie da conigliette, comprate dall'ennesima metamorfosi commerciale dei ragazzi delle rose. 
E poi cuori dappertutto, coincidenza di feste di divertimento e d'amore, quest'anno.
Cuori e bestioline da strizzare.
E i papà.
...Quanto sono belli i papà?
I papà che rincorrono, i papà che guardano da lontano, che caricano sulle spalle, che giocano, che sbaciucchiano, che tengono per mano.
...Quanto sono teneri i papà?
Sempre più ragazzini, sempre più nonni. Sempre più meravigliosi papà.
Immersa nella sagra delle feste comandate, della tradizione allegra e mercificata, della baldoria misurata come può essere misurata solo una baldoria friulana, sbircio senza discrezione questo dolcissimo spettacolo di uomini grandi e piccoli uomini. E non ci posso fare niente, questo dolcissimo spettacolo mi scioglie il cuore, lo solleva dalla colpa di aver sputtanato mezzo stipendio in libri e film, mi fa dimenticare che l'acciottolato fa un male cane sotto i piedi, come quando cammino scalza al fiume per cercare il sollievo dell'acqua.
E non stride la “musica del caso” (grazie Auster) dentro le orecchie, non stride una brioche siciliana che diventa sempre più piccola in mano e sempre più grande nello stomaco, non stride la solita lacrima, sempre pronta, seduta con le gambe che ciondolano sullo steccato dell'occhio.
Entro nella piazza dei mercanti di tutto, ai piedi del castello che vigila silenzioso e lontano, sbuco tra le strade dell'eccidio e dell'amore segreto di 499 anni fa. Mi intrufolo nell'itinerario di una Udine che ha trasformato le razzie in mezze parole spifferate alle orecchie giuste, tra i corridoi del potere, di una Udine che ha smesso di versare sangue nel pozzo di via Stringher preferendo far sparire gli scomodi con lo scandalo o la sottrazione omertosa delle luci della ribalta.
Mi ricordo così che è carnevale. E che 499 anni fa sbocciava un amore, proprio qui, tra queste corti impolverate e rimesse a nuovo, tra queste stradine a traffico limitato dove sorgevano palazzi di cui restano solo impronte di perimetri e fondamenta. E io lo so, io vedo com'erano, tutti interi, illuminati dalle torce, tra abiti lunghi, corsetti, cospirazioni e spade.
Li sento tutti, cementati nel mio posto segreto, un passo dietro lo stomaco.

12.2.10

Femminilità 2.0

(dall'ormai imperdibile rubrica: il diario del mio minipony hippity hop)

L’andata
18.22, 18 SET 09 - MOONCUP - Effettuo il primo cambio in 12 minuti netti, slogandomi un’anca e trasformandomi in Henry the butcher dopo aver finito di sgozzare un muflone. Tecnica da affinare. (SEGUE)

Il ritorno
15.15, 12 FEB 10 –
MOONCUP (2) - Tecnica affinata (2-3 minuti massimo), ma l’impraticità dell’applicazione (omissis), la mia patologica impazienza e un pizzico di creatività mi permettono di scoprire che il ninnoletto di gomma può esprimersi al meglio anche come pratico sturalavandini. La rivelazione, ancorché stupefacente, non evita però che mi girino i coglioni come la bonaccia d’agosto, in quei giorni.
No. In questi.

Un unico imperativo: viuleeeeeeeeeeenza!

[Nota: Colleghe donne, colleghe di femminilità… mi rivolgo a voi. A voi che siete più pensanti e calme, meno fastidiose e irritabili… vi prego: provateci, continuate a usarlo. Questo post vuole essere davvero promozionale per un prodotto utile, intelligente e innovativo. Non mi pagano, giuro. E' ammmore vero.

Provatelo. Fatelo per l’ambiente. Fatelo per San Valentino.
Se non volete diventare come me, biasimatemi, in aggiunta. Mentre io, oggi, spacco tutto]


pièsse. E strigni-strigni, sto sempre sempre a parla' der punto 5

11.2.10

scontro fra civiltà al femminile


2. "oriente"

la banda del plastico vs l'esercito delle dodici scimmie.
vinca la migliore.

9.2.10

come le petite madeleine

(oddio... tipo)

sento un odore familiare in corridoio.
sniff sniff.
odore come di polvere.
sniff.
misto a cripta.
sì...
pungente.
inconfondibile.
talco, muffa e cassapanca.
sfila davanti alla porta.
cappotto blu sormontato da una parrucchetta di capelli bianchissimi.
è lui.
lui davvero.
dopo tanti anni.
voldemort, il mio ex "datore di lavoro".

proust mi fa una pippa.

8.2.10

trasloco d'ufficio

(terzo in 2 mesi. voglio la vip card)

mi hanno tolto la terrazza.
ma l'amore vince su tutto.
lo dice anche silvio.
tiè.

7.2.10

E tu, che colore scegli?

Sì, quale scegli?
Il tempo scandito da tutto l'arcobaleno, attraverso il corso del sole che dipinge i singoli istanti di una fredda giornata d'inverno... o l'eterno sempre del bianco e nero?
Scegliere una lingua. Sceglierle entrambe.
Per andare a marcare impronte di anfibi sul bagnasciuga intirizzito, imbacuccati nel tepore di un piumino. Per accovacciarsi sul molo, lontano dal casino, e rovesciare i pensieri sulle onde infreddolite. Per guardare come trema la risacca, su una bassa marea sintonizzata a 3 gradi.
Per ascoltare una voce che ti legge una poesia fuori tempo e fuori dal tempo.
Per farsi scompigliare i capelli dal vento lieve e appuntito, mentre una canzone solletica le orecchie.
Suggestioni e seduzioni di una piccola mostra di fotografia, al Koboshop di Udine, vista con la scorta sicura e sorridente dei due autori. Insieme e diversi. Ognuno con il proprio sguardo dietro l'obiettivo, per interpretare con distinte sfumature il proprio sea@winter.

Diversi e complementari.
L'adesso e il sempre.

Oggi il cielo è di un azzurro sfacciato. E il sole convince, fingendo come un attore.
Mi è venuta voglia di andare al mare. Al mare d'inverno.
A scegliere il mio colore.

6.2.10

Due fra le nuvole

Piove e persiste. Come sempre, da queste parti. Lei torna a casa, si sfila gli stivali con il tacco altissimo. Li abbandona sull’ingresso, a tenere compagnia alla giacca rossa e alla borsa. Si prepara una sigaretta mentre accende la musica. Parte “Killing me softly” e le scappa un sorriso. Di quelli tra sé e sé, che si capisce bene, da sola.
Canzoni di viaggio, d’altronde.
Si issa sullo sgabello per aprire la finestra e sedersi lì sopra, proprio sulla finestra, sì. Ad aspirare il suo personale bagno turco. Appoggiata su uno stipite con la schiena e la testa, le gambe piegate per occupare tutta l’apertura del balcone, per distribuire meglio il suo sguardo distratto sulla corte buia.
Perché non è mica tristezza, quella che prova. È felice in modo originale. Una felicità bizzarra, come una languida nostalgia. Nostalgia della felicità stessa. Nostalgia di un sentirsi amata, di un sentirsi amata lontano e vicinissimo, insoddisfacente e pieno, vero eppure insolito e forte e proprio strano, contorto, incomprensibile.
Ci vuole un trapianto di sangue. Esiste un trapianto di sangue?
Fuma e sorride, mentre il rimbalzo di qualche goccia le vaporizza le guance piene.
“Era d’estate”, adesso. E giù un altro sorriso.
Nessuno prende per il culo come il caso, e questo è in qualche modo rassicurante.
Capire, capirsi, cercare un codice in comune, perché la stessa lingua può essere un ostacolo anche per chi non è straniero. Cercare un codice in comune, decifrarlo, dichiararlo e riuscire a usarlo. Il codice del tempo reale, della spontaneità, di una chiarezza ancora un po’ offuscata, in attesa che il tempo faccia da traduttore. In attesa che gli egoismi, tutti, sfumino nella condensa.
Esserci, però. Esserci sempre. Coccolare la propria insana intimità. Perché lei ha una memoria di ferro. Per questo non le servono foto, ma le vuole guardare lo stesso, ogni tanto. Perché ha una memoria imbarazzante, ma ha bisogno di rivedere l’istante, di identificarlo e dire a se stessa “io c’ero e ci sono”.
Perché distingue il diversivo dalle emozioni profonde, ma chi se ne importa. Viverle o niente. Viverle tutte, sentirle incorporee e reali. Emulsionare tutto, come dice Francesca, e sentire che è giusto. 


Sapere di volere un bacio.
Ora. Adesso. In questo esatto istante. 
Ed essere consapevole che vale solo per ora, adesso, in questo esatto istante. E che, se il coraggio l’assisterà, lo chiederà, lo vorrà, lo ruberà, lo trafugherà con la vergogna di una ladra maldestra.
Per il solo ora, l’adesso, per questo esatto istante.

Per un'ultima volta. Per un'ultima, bellissima volta, che sia istinto senza pensieri.
Per districare le nuvole e lasciar filtrare il sole. 

E poco importa se è notte. Se tutto si accavalla, se tutto si confonde.
Poco importa. 

Perché è certa che esista almeno un angolino di quelle emozioni profonde in comune, anche se trascritte in due vocabolari diversi.
Poco importa. Importa niente.
Importa trovare quelle emozioni, quel codice che si trasforma un milione di volte al secondo come la password di un conto bancario. Trovarle e trovare con esse un piccolo terreno comune. Due ascensori che la fortuna fa fermare per un istante allo stesso piano. 

Quanto dura? 
Duri un battito di ciglia, ma ne racconti ogni singolo fotogramma!
Valga per il tempo che vale. 
Senza pensare a domani, alle conseguenze, all’opportunità.
Ma valga per quello che è. 

Cioè tutto e niente. 
E tutto.
Scivola addosso. Scivola via.
Come queste parole, che si disperdono nel distillato di sorrisi della pioggia e di…
...Ain't no sunshine when she's gone?

Una dedica affiora dal passato quasi remoto.
Altri codici, altri ascensori.
Un mucchietto d'estate che si scioglie nella musica.
Com'era cominciato questo ritorno a casa?
Ah, sì. Killing me. Softly.
Ed è il softly che conta.

4.2.10

cvd

ebbene sì, ho peccato.
ma con un vino sublime.
(non vale, vero?)

3.2.10

aggiornamento di metà percorso

(sempre per gentile concessione, dal diario del mio minipony hippity hop)
 


- i punti 1, 2, 4 li sto portando avanti con una certa compiaciuta convinzione. non credevo. meno difficile del previsto. stasera, però, sento che una cena con un po’ di colleghi (i piccoli pony cotton candy, twilight, apple jam, melania, timmy e tammy) minaccerà seriamente l’astinenza alcolica. vedo. prevedo. percepisco. c’ho i poteri.
(nota: programmare analoga serata, ma con gli snorkies)
- il punto 3 per ora mi riesce impossibile, ma ci sono vicina: da due sere sto cercando di installare il videoproiettore che ho in prova. imprecando come farebbero dolce e gabbana per un brufolo sulla punta del naso. se non ce la faccio sono proprio oviesse.
(nota: trovare un diversivo che non sia il punto 5, già ampiamente sperimentato) 

- il punto 6. il mio cruccio. non funziona. dannazione. non funziona. insonnia ancora incurabile: stanotte sveglia improvvisa e tachicardica alle 3.09, dopo un sogno bellissimomeravigliosostupendo che quando ho aperto gli occhi sorridevo felice e poi invece cazzo mi sono messa a gridare "no, merda! no! era solo uno stramaledetto sogno!" hai presente di quelli così credibili nel loro dolcissimo essere irreali nella loro magica assurda attendibilità? 
eppure filava. filava da dio.
provato a mettere in pratica il punto 6. mi ci sono messa d’impegno, una martellata forteforteforte, per riaddormentarmi subito e riprendere da dove si erano interrotte le trasmissioni. proprio da lì, dal momento prima che succedesse la cosa più bella. cazzo.
anche questo era solo un sogno. con gli occhi fastidiosamente aperti.
(nota: mettere in pratica le (presunte) dichiarazioni di morgan per scoprire se il suo metodo è più efficace)

1.2.10

buoni propositi per la prima settimana di febbraio

(dal diario del mio minipony hippity hop)
 
1. dare avvio a una ferrea dieta “no alcol” (“detox”, per i lettori compulsivi di donna moderna) 
2. buttarmi a capofitto dal lavoro (non è una sgrammaticatura: il quinto piano ha la terrazza) 
3. stordirmi con la visione coatta di tutto il decalogo di kieslowski in lingua originale (bonus track: i 3 colori), distribuita nel tempo massimo di due sere 
4. ballare fino a lussarmi l’anca 
5. parlare insistentemente di figa, a titolo di distrazione 
6. utilizzare la birra in via esclusiva per prendermi a bottigliate in testa, a scopo narcotico 
7. anche dio, il settimo giorno...