4.3.10

presuntuoso [pre-sun-tu-ó-so] agg., s.m.

È questa la parola che cercava Eva, l’altra sera. Il suo maledetto vocabolo-tabù. Ognuno ha il suo. Casuale, stupido, assolutamente non-collegato al livello di cultura o scolarizzazione del soggetto dimenticante. Ci si ricorda un sinonimo, si sa benissimo a che azione o qualificazione quella parola fa riferimento. Ci si ricorda pure il suo contrario, magari. Ma non lei. Lei non viene mai in mente quando serve. La mia, per esempio, era “opportunista”. Dico “era” perché ormai l’ho superata, e giusto un istante prima di comporre furiosamente il numero del mio psicanalista di fiducia. A un passo dal baratro. Adesso mi torna sempre, subito, immediatamente. Ma fino a un paio d’anni fa, ogni volta che dovevo pronunciarla mi bloccavo, mi scattava lo screen-saver coi pesci, poi mi ricordavo tutto il Devoto-Oli e ogni singola raccomandazione della veltroniana Accademia della crusca. Tranne lei. Quanto l’ho odiata. Il confine tra memoria e oblio è davvero il tempo di un ruttino di coca sgasata. Vabbè, dicevamo? Giusto, dicevamo che la parola di Eva è quella che caratterizza la giornata di oggi. Presuntuoso. Plurale – e questo è il mio caso, perché oggi sono stata baciata dalla fortuna -: presuntuosi. Contrario di umili, di “gente a posto”. Sinonimo di boriosi, vanagloriosi, alteri e un’altra decina di lemmi che non faticherete a trovare con un semplice clic destro/thesaurus. Insomma, quell'esercito di personcine che hanno conquistato il loro posto luminoso in questa società di poveracci. E non si mette in discussione, capito? Quelle che hanno costruito, da bravi artigiani della molestia, il loro piccolo trono di guano nel bel mondo della provincia e che per questo semplice motivo pretendono. Sì, pretendono. Se fosse inglese, il false friend avrebbe un’accezione ancora più azzeccata, assestandosi su un significativo “fingere”. Quelle personcine lì, insomma, quelle che oggi hanno deciso di darsi appuntamento sui miei coglioni – e vi prego di notare come shifto (pardon!) con disinvoltura dall'inglese al francese -, di parcheggiarsi stabilmente tra le alture, lì sopra, e di provare fino all'esaurimento il "Cappello a tre punte", versione di Antonio Marquez. E sto parlando di flamenco. Quelle personcine misere e torve, che non si pongono domande, ma sanno porle così bene agli altri, inquisitorie, incredule per non aver trovato sotto i loro nobili tacchi il tappeto rosso dell'adulazione o della semplice “considerazione adatta alla mia casta”. «Ho visto con piacere che nell'articolo odierno non siamo nemmeno stati menzionati». Ironici. Essere brillanti e arguti è la loro mission, direbbero. Oppure/In aggiunta: «Io, IL caporedattore, mandare una mail per chiedere un appuntamento? (Segue velata ed elegante minaccia di polverizzazione di ogni tua richiesta di pubblicazione)». Niente autoanalisi (Forse non ho idea di come funziona un giornale? Forse è una prassi abituale che deve seguire anche il presidente dell'universo?), perché l'autoanalisi non è di chi sta seduto sul trono di guano. Solo spocchia e critica. Accusa. Vacua espressione di stupida e inutile supremazia. Be', chiamate pure le presidenze, le direzioni, la magica triade del potere. Lamentate pure la vostra lesa vanità. Fate solo una cortesia: quando venite smascherati dall'ultima degli stronzi che ha semplicemente fatto il suo mestiere, prima di svignarvela con la coda fra le gambe, spalancate le finestre e poi chiudetevi la porta alle spalle. Perché puzzate.

3 commenti:

marcopress ha detto...

questo sembra il gabbianone. invettiva feroce:)

canzoni di viaggio ha detto...

maestro... :)

(no, ma... non ero infastidita, eh? pegggnènte!)

Unknown ha detto...

brillante commento con lucida arguzia e lepida ferocia e senza alcun minimo risparmio di parole, per lo più non dette da quella ahimè, vasta cerchia di viscidi esseri! che oltre alla presuntuosità superba, non manca certo di ipocrisia e falsità. parole sante, non per essere collegate a qualcosa di schifosamente ecclesiastico, ma semplicemente alla mera reale condizione sociale convenzionale priva di raziocinio e di virtuosa spiritualità. con rimorso più del sentimentale affetto sprecato che del tempo, utilizzato almeno fruttuosamente per lo sviluppo della propria coscienza attraverso una costruttiva esperienza personale, condivisa con un allora inaspettato perfido individuo considerato amico, nonostante le negative osservazioni di terzi verso l'opportunismo, la megalomania fatta persona, e sopratutto priva di rispetto. U MEGGHJU AMICU TI FA LA BOIA!