13.4.10

pelle d'oca

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un giorno di marzo t'inventi una scusa per andare in un paese in collina in cui non vai praticamente mai. la scusa è credibile, ma neanche troppo. chi ti ascolta sta al gioco, però. e, anzi, lo inventa con te, il gioco. spingendo avanti la sua pedina una casella alla volta, attendendo un rilancio per rilanciare a sua volta. e viceversa.
gli chiedi «dove sei» e ti risponde «conta fino a 72». tu ridi e cominci a contare davvero.
è una bellissima giornata che sta tramontando, di quelle che-non-ti-aspetti-mica-niente-eppure. 
di quelle che si trasformano in una serata frizzantina, di quelle che-potevano-anche-finire-all'apertivo-invece. 
bollicine, parole, 42 canzoni, friuli, stelle e risate, e come digestivo un paio di scure spumose sotto una volta celeste di mattoni rosa.
scopri che il gioco è in realtà un puzzle da ottantamilioni di pezzi, che però riesci a disporre con sorprendente convinzione, uno alla volta, senza forzare mai i contorni come fai di solito, da brava pasticciona.
apri parentesi e subordinate che cominciano adesso e finiscono due ore dopo con un "ah, ti dovevo dire", tanto che i discorsi si completano solo certe volte. e altre no. ma non te ne importa niente. perché tutto torna lo stesso e il quadro si cerchia. perché ripensandoci dopo un mese it feels like home, to me.
poi a un certo punto stai parlando veramente di tuttotutto e, sì, è praticamente mezzanotte e invece di citare scarpette e cenerentole stai ciarlando, più da animalista che da ghiottona, di un agriturismo a cui peraltro stai facendo compiaciuta pubblicità con questa foto qui sopra.
ed è irresistibile la battuta giusta agganciata al momento giusto, tanto che la prossima volta che ti daranno dell'oca non solo non ti offenderai, ma ti scapperà un sorriso.
anche se... come te l'ha detto lui, nessuno.
 

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