22.2.10

Cercasi fabbro disperatamente

Maledetta serratura! Rinominando l’intero pantheon con alias decisamente poco aristocratici, Giulia estrae la chiave dalla toppa e la infila di nuovo. Due, tre, quattro volte. Ripete infastidita il trucchetto da tirocinante della manomissione. Finalmente il fatidico “clic”. Beccato il dentino giusto. Dentino farabutto.
Fa così da un po’ di giorni.
Però, poi,
la chiave gira. Bastano quattro agili pirouettes e si apre casa. Non è neanche troppo tardi e la pioggia sta per arrivare, ma sta ancora tergiversando. Se ne sente l’odore nell’aria. E il sapore nelle ossa: è come se le stessero scolpendo l’anca con la canna di una pistola che ha appena sparato. La saggezza della vecchiaia travestita da flogosi. «Devo farmi vedere», pensa. Se lo dice sempre. Lo farà, una volta o l’altra. Sicuramente l’altra.
L’appartamento è così caldo che deve liberarsi subito dal piumino per non soffocare. E no, stasera niente pc, niente musica. Solo un ultimo cicchetto, prima di prepararsi per la notte, mentre il palazzo la segue. Silenzioso, addormentato come sempre.
Chissà che fanno, dall’altra parte del muro. Le luci sbucavano da sotto gli altri usci mentre percorreva il corridoio, quindi qualcuno doveva esserci. Certo, non è detto che fosse vivo.
Chissà che fanno. Chissà che pensano faccia lei.
Se lo chiede mentre sorseggia serena il suo liquore dolce, scorrendo distrattamente il programma del cinema. Poi via a lavarsi i denti. Stanotte c’è tempo per leggere nella totale assenza di rumori della cameretta. Via il trucco in una mossa, via i vestiti, si sistema i capelli a corona sul cuscino e accende la sua abat-jour a forma di sfera magica. Che le piace sentirsi un po’ strega.
Nei giorni precedenti aveva per le mani un libriccino devastante: storie di droga, di overdose, storie di periferia e di assistenti sociali, storie di madri e di figli, di donne normali pugnalate dall’anormalità della morte più infame. No, stasera no. Meglio uno spintone giù dalle scale.
Sapendo a cosa andava incontro, si era comprata in seconda battuta il best seller del momento, un librone da un chilo e mezzo giusto giusto per le emergenze. Eccola l’emergenza. Per distrarsi dagli orrori del “piccolino” e affidarsi alla rassicurante promessa della quarta di copertina del “ciccione”: «Vi terrà svegli fino all’alba». Questo ci vuole.
Comincia a sfogliare le pagine, immersa nel fornetto della trapunta. Comincia a seguire la storia ancora confusa e a far conoscenza dei personaggi dai nomi taglienti come notti e giorni che non finiscono più.
Mentre il suo nuovo amico Karl parla tra due virgolette, giù di sotto si apre il cancello automatico, con il solito ronzio del motorino. Ormai ci è abituata.
Poi uno strepito. La porta d’ingresso del condominio sbatte con violenza. «Rientro difficile», pensa. Guarda l’ora: mezzanotte e dodici. «E qualche cicchetto di troppo», aggiunge sogghignando. Ma il ghigno si smorza subito. Scarponi e scarpe con il tacco spezzano la pace calpestando con violenza i gradini, come una marcia di guerra. Passi che vogliono rompere il pavimento di marmo del corridoio. Le chiavi della vicina ruotano furiose e sembra che la porta si scardini. E poi giù di nuovo, sbatte anche questa.
Discussioni ovattate dalle sequenze di muri. Tachicardia. Discussioni ad alta voce ma indistinguibili. Di nuovo la porta di Yelena – è solo un nome, con un cognome russo, sul campanello di fianco. Un nome per chiamare la sua vicina di casa senza volto.
La porta d’ingresso, giù al piano terra, si riapre e sbatte di nuovo. Fa entrare altre scarpe, altri passi cadenzati da sommossa.
Che diavolo succede stanotte, nel condominio degli zombie?
Poi tutto tace.
Una goccia cade a intermittenza, svogliata, da chissà dove. Dalla sua doccia.
Tutto tace tranne questa goccia che rintocca secca contro la plastica del balsamo per i capelli. Questa goccia che lievita e si espande nella sua testa come un martello gigantesco contro un gong.
Dal vuoto stride il gracchiare di un campanello. Spaventoso come un urlo.
«È il mio».
Cazzo. È proprio il suo. Mezzanotte e sedici. Quella grattugia insopportabile. Aveva sempre pensato di abbassare il volume per non morire d’infarto e l’averlo fatto prima le avrebbe forse risparmiato l’attacco a cui ora stava cercando di sopravvivere.
In un istante, zitti tutti. Zitto tutto. Di nuovo.
Pausa.
Rarefatta e ingannevole.
Dura pochi, pochissimi secondi.
Giulia trattiene il respiro e chiude gli occhi.
«Vi terrà svegli fino all’alba», eh? Maledetto libro. Maledetta goccia. Maledetta serratura!
Giulia scivola giù dal letto come un gatto. L’avrà richiusa a chiave, la porta?
Giulia è sola.
Giulia è sola con il suo cuore, che pompa come una turbomacchina.
Striscia verso l’ingresso cercando di volare, facendosi leggera come un foglio di carta, attenta a non fare il minimo rumore. Perché metti che sono proprio lì. Lì fuori. Separati solo da un rettangolo di legno e ferro. Che non è neanche male, come divisorio, ma in questo momento neppure Gandhi riuscirebbe a essere di conforto.
Di nuovo la porta di Yelena che sbatte e Giulia che sussulta, soffocando un grido. Voci che bisbigliano nervose, lì a pochi centimetri, passi che comprimono ancora il pavimento.
«Apri», sente.
Giulia indietreggia di qualche centimetro.
Staranno dicendo a lei? Riesce solo a pensare a quella mattina, quando a colazione era suonato il citofono e le avevano chiesto di Yelena. Un uomo. «Mi sa che ha sbagliato campanello», lo aveva avvertito lei con gentilezza. Lui si era scusato, con altrettanta gentilezza, ed era scomparso.
Uno stupido errore. Ma sul suo campanello non c’era scritto Yelena, cazzo!
Avranno sbagliato davvero?
Staranno sbagliando di nuovo?
Dallo spioncino filtra la luce del corridoio. Quelli sono lì fuori. E non sono al buio.
Allora prende coraggio e avvicina l’oc

9 commenti:

Biancaneve ha detto...

Oh mio dio... Giulia!

Giulia!! Rispondi!

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Adoro il tuo stile. Le tue canzoni ed il caleidoscopio dei temi: uno shuffle tra racconti, frammenti di diario, stilettate di attualità...
Mi rende avida.

marcopress ha detto...

letto adesso per intero. tensione crescente. ho il cellulare acceso fino a tardi. se capita sempre non oltre mezzanotteesedici in minuti 8 sono lì. e ti salvo.

seneca ha detto...

al fianco del mio mono, avevo una squadra di calcio o tennis, a seconda dei baldi sportivi presenti; sopra una piccola stronza, che non faceva un cazzo tutto il giorno, non usciva perchè se nò la portavano in questura, ma che, dalle dieci alle diciotto ascoltava esclusibamente la sua gradevolissima e monotematica musica moldava del cazzo ad altissimo volume, la sera piccola (5mn) trombata doverosa da concedere all'omo ignorant e poi chiacchiere e risate violente con fiumi di birra sino all'una; sopra ancora, dolce famiglia che come passione scendeva e risaliva le scale a qualsiasi orario, come se stesse scappando da un terremoto in atto, sbattendo regolarmente il portone..
ora non ho più da spartire, ma VAFFANCULO lo stesso STRONZI!!!!!

seneca ha detto...

o secondo me marcopress ce stà a provà...

canzoni di viaggio ha detto...

giulia vive. se l'è fatta sotto come un ostaggio durante una rapina. ma vive. (cazzzzo se ha smaltito, però...)

biancaneve: il tuo commento vale da solo più di tutte le mie canzoni. bello averti qui, scrittrice strepitosa!
marcopress: ce stai a prova'? ;)ocio, che do il tuo numero a giulia, eh? e di sicuro la prossima volta ti chiama. se non altro, lascerà aperta la telefonata, così tu sarai l'unico a sentire in diretta... l'assassino!
seneca: nel caso di giulia, la cosa inquietante era proprio il contrasto tra il silenzio mortale della normalità e l'eccezionalità di quei sei minuti di bordello. maledetti. se scopro chi ha suonato gli taglio il dito e glielo ficco in...

canzoni di viaggio ha detto...

...culo. [eh!, 'sta inutile pudicizia...] :)

marcopress ha detto...

pompino

canzoni di viaggio ha detto...

copione! voglio il copyright! :)
giornata abbastanza furibonda... ma prima o poi torno, promesso!

marcopress ha detto...

a chi lo dici! Non ho nemmeno il tempo di venire a suonare a Yelena stasera. Dormite serene.